Carri romagnoli

Carri romagnoli

mercoledì 21 settembre 2022

Ferdinando Frassineti, che lavorava all'Ansaldo

La mia idea di italianità è questa: conoscere bene il mestiere e se possibile avere una visione d'insieme di quel che si fa. Essere almeno un buon artigiano, se non un artista. Io l'articolo 1 della costituzione, quel "fondata sul lavoro", lo interpreto così. 

A me il mestiere lo insegnò un po' mio padre: si fa un progetto, si prendono le misure, e poi si lavora con attenzione. Così ci sta che insieme celebriamo un signore  sconosciuto e di cui non si ha alcuna memoria pubblica: Ferdinando Frassineti, detto "Nandino" perché era di bassa statura.

Era di Forlì e lavorava alle fonderie Forlanini. Verso la fine degli anni '30 si divertì a costruire un conio per stampare monete. Senza dolo, pare, ma solo per li gusto dell'arte, perché lui nel lavoro aveva un talento enorme ed era un artista.

 

Se la cavò con un trasferimento, da Forlì all'Ansaldo di Genova. Sua moglie Elde era parente di mia nonna. Non ebbero figli, e nel '59 Sergio e Gabriella (nel video) furono loro ospiti in luna di miele. Ne parla Sergio nel video.

Si racconta anche della Guerrina, cognata di Elde, che andò a trovare mia madre che mi aveva appena partorito. Chiese come mi avrebbero chiamato, e ricevuta risposta, disse a mia madre che conosceva un Lucio scemo. Mia madre la prese male, anche perché pare che avessi effettivamente una faccia da poco normale: due occhi fuori dalle orbite e nessuna furbizia in viso. E così insomma mi presentai al mondo.

Poi mi ammalai, e si racconta del medico che bestemmiava perché non guarivo. Con queste premesse e con tal ambienti familiari, come volete che poi si cresca.

giovedì 7 luglio 2022

Secondo Casadei, e Arnaldo Pambianco

 

Primissimi anni '50. Sergio si reca a Savignano sul Rubicone per ingaggiare Secondo Casadei per il veglione del 9 febbraio al circolo dei Repubblicani di Forlimpopoli. Il 9 febbraio è del 1849, anniversario della Repubblica Romana. E per Sergio è un po' come andare a Canossa, per ragioni che spiega.

E qui sotto aggiunge un suo ricordo su Arnaldo Pambianco, che vinse il Giro d'Italia del centenario, e che ieri purtroppo è morto. Si ricorda anche Don Nicola, "che toccava il culo ai giocatori perché portava fortuna": quando si parla con un repubblicano finisce sempre così.

E ricordo Vanni, che girando pei colli di Bertinoro in bicicletta lo incontrò, anche lui in bicicletta. E Pambianco disse a Vanni che aveva "una bella pedalata", e Vanni, con quel suo fare ironico, si divertiva a raccontare che quel complimento lo aveva molto gratificato. 

Sergio menziona correttamente e con ferrea memoria Gastone Nencini, vincitore del Tour de France del 1960 - l'anno dopo Pambianco vinse il "Giro". Ma anche la Gabriella, di rinforzo, non scherza. "La Gabriella" perché ricordo ancora che cosa disse la mia maestra delle elementari, Giulia De Blasi, che era di origini laziali: "l'articolo davanti ai nomi propri femminili non ci va, ma qua lo mettono tutti, per cui fate come vi pare".


 

 


martedì 28 settembre 2021

Otto settembre 1943, e la signora Edera

L'otto settembre 1943 è data importante per la storia e per la psiche nazionale, ma per Sergio Picci fu anche il giorno del tredicesimo compleanno. Si trovava nella rocca di Forlimpopoli, dove viveva sia la nonna, sia la zia, sarta. E mentre la radio annunciava l'armistizio, osservò la smodata reazione di una cliente, probabilmente ricca - il vestito era di rarissima seta - e altrettanto antifascista.

Sergio menziona poi Edera, molto repubblicana signora, che ebbe modo di aiutare un giovanissimo e poverissimo Benito Mussolini studente "all'Istituto" - magistrale - di Forlimpopoli. E che poi, durante gli anni del regime, pare che venisse lasciata in pace malgrado la sua vistosa professione di fede politica,  verde, come l'edera, e repubblicana.

La bottiglia è di grappa.

PS. La signora Edera si chiamava in realtà Irene, si corregge Sergio. Irene Artusi. Ma con tutte quelle edere che dipingeva, la vogliamo ricordare così.

venerdì 13 novembre 2015

Chiodi di guerra

Continua la saga familiare. Sergio Picci racconta della sua discutibile frequenza scolastica durante la guerra. Frequentava l'Istituto industriale (foto in alto), recente costruzione nel Viale della Stazione di Forlì. Si trova di fianco all'ex Gioventà Italiana del Littorio, il bellissimo edificio razionalista progettato da Cesare Valle e recentemente restaurato. Gli anni, dal '42 al '44. Sergio è del settembre del '30. A scuola, da Forlimpopoli, con la bella stagione andavano in bicicletta, con le gomme piene, anelli di camere d'aria infilate da suo padre. Altrimenti, in treno, quando il treno c'era. Quando c'erano i bombardamenti gli studenti andavano nel rifugio, nelle cantine della scuola. Questo, "se eravamo dentro la scuola", ma pare che spesso Sergio fosse fuori. In particolare, durante l'ultimo anno, dopo l'8 settembre aveva un cattivo rapporto con la professoressa di musica. Era "una gran fascista", e Sergio, che dopo l'8 settembre aveva appreso per la prima volta che loro stavano da un'altra parte, non si era più iscritto al fascio. In quel periodo bombardavano spesso l'aeroporto. In una occasione, Sergio si trovò in un rifugio nei pressi della GIL durante un bombardamento. Pare di capire che fosse l'ora di musica, anche alle mie orecchie suona molto a giustificazione postuma. Uscito da scuola, a volte Sergio doveva andare alla ricerca di chiodi e ferro per suo padre, che faceva il maniscalco a Forlimpopoli. A zonzo per ferramenta e depositi di ferrovecchio, per poi tornare a casa il pomeriggio tardi. A dodici-tredici anni, spesso avendo mangiato ben poco tutto il giorno.

mercoledì 26 novembre 2014

Sfollati, un bombardamento e una "Singer"

Sergio lavorò come garzone nella bottega di un certo Morelli che viveva a Sant'Alberto. Non era imparentato con la famiglia del dottor Morelli di Forlimpopoli, parte della storia, e prima di arrivare a Forlimpopoli aveva imparato il mestiere a Domodossola (non a Abbiate Grasso, come Sergio riporta per svista). Tale Morelli di Sant'Alberto era bravo, estremamente pignolo, e un gentiluomo. Nella sua bottega fu portata una macchina da cucire "Singer" danneggiata, di proprietà del dottor Morelli. Sergio la aggiustò. La "Singer" era stata danenggiata da un bombardamento degli inglesi. Qui si parla di uno strano "Luigi", uno sfollato napoletano, ma in realtà una spia degli inglesi. Il misterioso Luigi dichiarò di aver dirottato un bombardamento verso la campagna di Bertinoro, che doveva colpire carri armati tedeschi nascosti sotto agli alberi di Villa Gaddi. Fu quella l'occasione in cui rimase danneggiata la "Singer" della famiglia del Dottor Morelli. Questi i ricordi di Sergio, che sottolinea, si riferiscono solo a storie che gli furono raccontate, e sulla cui veridicità non può garantire.

lunedì 10 novembre 2014

La famiglia Picci e il fascismo

I rapporti tra la famiglia Picci e il fascismo non furono privi di qualche malinteso.
Ne parla Sergio Picci, ricordando la vicenda del prozio Carlo Roncucci, che attorno al 1923 fu ucciso (insieme a Giovanni Artusi) in una sparatoria. Riuscirono a ferire lo squadrista Decio Melandri, che in seguito morì. In famiglia non si parlava di politica, e a Sergio queste storie furono raccontate dopo l'8 settembre.
Il 10 giugno del 1940 Sergio si trovava sulla rocca di Forlimpopoli e vedeva dall'alto la piazza piena di gente plaudente: l'Italia entrava in guerra. Applaudì anche lui, e afferma che sua madre gli diede "una vigliacca di quelle sberle che me la ricorderò sempre".

Si torna alla sparatoria del '23. Quando uccisero suo zio Carlo, il padre di Sergio, Luigi detto Gibi, stava svolgendo il servizio militare in Cavalleria. La nonna di Sergio gli comunicò per lettera che lo zio "era stato ucciso da piombo nemico". La lettera fu requisita e Gibi finì in carcere. Si racconta anche che Decio Melandri, ferito da Carlo Roncucci, fu poi finito dal fratello di Carlo: un affare di famiglia.

Nell'estate del 1941 a Sergio non era stato permesso di andare al campeggio dei balilla. Ma lui insistette sino allo sfinimento di suo padre, che infine intercedette con il Federale, il Maestro Bazzoli, col quale malgrado le divergenze politiche aveva un buon rapporto. A campeggio già in corso, Bazzoli vi portò Sergio con la sua Guzzi. Nei due anni successivi, la famiglia permise a Sergio di partecipare ai campeggi estivi come tutti gli altri Balilla.
Sino all'ultimo, a Terra del Sole, che fu interrotto all'indomani del 25 luglio 1943. Alla chetichella portarono i ragazzi a casa, passando per la piazza di Forlì, dove parlava Cino Macrelli.
Del comizio di cui Sergio fu casuale testimone si trova traccia nella voce che il Dizionario Biografico degli Italiani (Volume 67 - 2007) Treccani dedica a Cino Macrelli, laddove riporta che "già il 26 luglio tenne discorsi durante le manifestazioni popolari".










sabato 8 novembre 2014

Il misterioso tunnel tra Forlimpopoli e Bertinoro

Esiste davvero un tunnel che collega la rocca di Forlimpopoli a Bertinoro? Nel parla Sergio Picci.
Qui racconta che era assai pratico della Rocca di Forlimpopoli, perché vi abitavano i suoi nonni. En passant, con sprezzatura, lascia trapelare le sue nobili origini.



Nel 1938 (circa), un fascistissimo manipolo si addentrò coraggiosamente nel tunnel misterioso.
Ne uscì, dopo qualche tempo, avendo fatto prigioniero un tubo arrugginito.



Passarono gli anni, arrivò la guerra, e l'entrata del tunnel misterioso divenne un rifugio. Del tunnel, nessuna traccia.

domenica 27 dicembre 2009

Sergio Picci il costruttore di carri



I modelli raffigurati sono stati realizzati basandosi su originali posseduti dal Museo etnografico di Forlì. Il museo attualmente è chiuso, e l'intera collezione si trova in un deposito non accessibile al pubblico. Per questo motivo, le foto che vi presentiamo costituiscono anche, al momento, un minuscolo e parziale museo virtuale.


L'autore dei modelli è Sergio Picci, a sinistra nella fotografia. A destra, suo figlio Lucio: ogni grande costruttore, si sa, si ritrova un figlio un po' giandone.


Tutti i modelli sono in scala 1:10, con l'esclusione della bilancia per pesare i bozzoli della seta, che è in scala 1:5.



Si ringrazia la dott.ssa di Flavia Bugani per la collaborazione e per aver fornito i testi esplicativi che riproduciamo, adattandoli. Il dott. Massimo Portolani ha realizzato le fotografie.

sabato 19 dicembre 2009

La caveja





Un gallo, posto alla base di una caveja, davanti a un biroccio di pianura. La caveja, al di là dell'uso pratico (era situata tra il giogo, che bloccava, e l'inizio del carro, e le sue anelle, quattro o sei, poducevano rumore che segnalava il carro), aveva una precisa funzione rituale.


Il suono della caveja, secondo le credenze, spaventava e disperdeva gli spiriti cattivi ed i malefici; preservava dal malocchio e dalle fatture; scongiurava il temporale; risanava da molti mali, tra questi la sordità.


La nuova sposa, entrando nella casa maritale, baciava la caveja chiedendo la fecondità. Veniva usata per prevedere se il raccolto sarebbe stato abbondante, o il sesso del nascituro. La tradizione religiosa voleva che il giovedì santo, quando si legavano le campane, anche gli anelli della caveja venissero avvolti nella stoppa fino al sabato santo.


Esisteva anche un gioco con gli anelli della caveja che, lanciati da otto metri di distanza, dovevano infilarsi in un chiodo piantato in terra.


Gli originali dei modelli rappresentati in questo sito si trovano presso il Museo etnografico di Forli. Si ringrazia la dott.ssa di Flavia Bugani per la collaborazione e per aver fornito i testi.

Plaustro con castlé


La castlé: doglio per il trasporto del mosto dell'uva dalal campagna in città. Poteva avere la capacità di otto quintali (un car d'uva) oppure di cinque quintali (un baroz d'uva).

Plaustro

Risale al XVIII secolo, e proviene da una frazione di Bussecchio, nei pressi di Forlì. Il proprietario fu il colono Vincenzo Bonoli, che abitava nel podere detto "E Palaz d'Cuclon".

La gramadora


La gramadora serviva per estrarre i filamenti dalla canapa.


Si veda il suo utilizzo in questo video dell'Istituto Luce, che risale alla fine degli anni '20.

Carro. da montagna


Carro agricolo che, essendo di dimensioni ridotte e quindi risultando più manovrabile, veniva usato in collina e in montagna per il trasporto di merci. Le sponde esterne sono dipinte con festoni variopinti e con la raffigurazione di Sant'Antonio abate e San Giorgio (non riprodotti nel modello).


Proviene da Modigliana, dal podere "Ca' Ronconi".


Risale alla seconda metà del secolo XIX. Venne utilizzato sino alla seconda metà del XX secolo.








Barachina (Baroccino)




Veicolo a due ruote, con timone a due stanghe. Trainato a cavallo, era usato per il trasporto delle persone. E' dipinto in rosso e nero.


Proviene da Coriano, frazione di Forlì. Apparteneva a un commerciante di cavalli, soprannominato "e' Gievul" (il diavolo). Risale al XX secolo. Venne utilizzato sino alla metà del medesimo secolo.

Giogo



Il giogo era attrezzato con due grosse cinghie nella parte anteriore, che venivano legate alle corna dei buoi, con due sottogola regolabili. Nel centro, vi era un forte e largo telaio entro cui passava il timone. Il telaio del giogo con la parte anteriore si agganciava alla "caveja curta" o "tiradora", che trasmetteva al veicolo il moto avanti. Anteriormente a questa era la "caveja dagl'j' aneli" o "longa", o "campanéna", che andava a toccare il giogo solo quando i buoi dovevano fermarsi o nelle discese, onde evitare che il carro scorresse in avanti e colpisse i buoi ai garretti. Se il veicolo era molto pesante, si prendeva una misura prudenziale, legando le corna della coppia dei buoi all'estremità anteriore del timone: questa legatura era dominata "piadura". I buoi si guidavano anche con l'aiuto delle nasiere.