Carri romagnoli

Carri romagnoli

domenica 27 dicembre 2009

Sergio Picci il costruttore di carri



I modelli raffigurati sono stati realizzati basandosi su originali posseduti dal Museo etnografico di Forlì. Il museo attualmente è chiuso, e l'intera collezione si trova in un deposito non accessibile al pubblico. Per questo motivo, le foto che vi presentiamo costituiscono anche, al momento, un minuscolo e parziale museo virtuale.


L'autore dei modelli è Sergio Picci, a sinistra nella fotografia. A destra, suo figlio Lucio: ogni grande costruttore, si sa, si ritrova un figlio un po' giandone.


Tutti i modelli sono in scala 1:10, con l'esclusione della bilancia per pesare i bozzoli della seta, che è in scala 1:5.



Si ringrazia la dott.ssa di Flavia Bugani per la collaborazione e per aver fornito i testi esplicativi che riproduciamo, adattandoli. Il dott. Massimo Portolani ha realizzato le fotografie.

sabato 19 dicembre 2009

La caveja





Un gallo, posto alla base di una caveja, davanti a un biroccio di pianura. La caveja, al di là dell'uso pratico (era situata tra il giogo, che bloccava, e l'inizio del carro, e le sue anelle, quattro o sei, poducevano rumore che segnalava il carro), aveva una precisa funzione rituale.


Il suono della caveja, secondo le credenze, spaventava e disperdeva gli spiriti cattivi ed i malefici; preservava dal malocchio e dalle fatture; scongiurava il temporale; risanava da molti mali, tra questi la sordità.


La nuova sposa, entrando nella casa maritale, baciava la caveja chiedendo la fecondità. Veniva usata per prevedere se il raccolto sarebbe stato abbondante, o il sesso del nascituro. La tradizione religiosa voleva che il giovedì santo, quando si legavano le campane, anche gli anelli della caveja venissero avvolti nella stoppa fino al sabato santo.


Esisteva anche un gioco con gli anelli della caveja che, lanciati da otto metri di distanza, dovevano infilarsi in un chiodo piantato in terra.


Gli originali dei modelli rappresentati in questo sito si trovano presso il Museo etnografico di Forli. Si ringrazia la dott.ssa di Flavia Bugani per la collaborazione e per aver fornito i testi.

Plaustro con castlé


La castlé: doglio per il trasporto del mosto dell'uva dalal campagna in città. Poteva avere la capacità di otto quintali (un car d'uva) oppure di cinque quintali (un baroz d'uva).

Plaustro

Risale al XVIII secolo, e proviene da una frazione di Bussecchio, nei pressi di Forlì. Il proprietario fu il colono Vincenzo Bonoli, che abitava nel podere detto "E Palaz d'Cuclon".

La gramadora


La gramadora serviva per estrarre i filamenti dalla canapa.


Si veda il suo utilizzo in questo video dell'Istituto Luce, che risale alla fine degli anni '20.

Carro. da montagna


Carro agricolo che, essendo di dimensioni ridotte e quindi risultando più manovrabile, veniva usato in collina e in montagna per il trasporto di merci. Le sponde esterne sono dipinte con festoni variopinti e con la raffigurazione di Sant'Antonio abate e San Giorgio (non riprodotti nel modello).


Proviene da Modigliana, dal podere "Ca' Ronconi".


Risale alla seconda metà del secolo XIX. Venne utilizzato sino alla seconda metà del XX secolo.








Barachina (Baroccino)




Veicolo a due ruote, con timone a due stanghe. Trainato a cavallo, era usato per il trasporto delle persone. E' dipinto in rosso e nero.


Proviene da Coriano, frazione di Forlì. Apparteneva a un commerciante di cavalli, soprannominato "e' Gievul" (il diavolo). Risale al XX secolo. Venne utilizzato sino alla metà del medesimo secolo.

Giogo



Il giogo era attrezzato con due grosse cinghie nella parte anteriore, che venivano legate alle corna dei buoi, con due sottogola regolabili. Nel centro, vi era un forte e largo telaio entro cui passava il timone. Il telaio del giogo con la parte anteriore si agganciava alla "caveja curta" o "tiradora", che trasmetteva al veicolo il moto avanti. Anteriormente a questa era la "caveja dagl'j' aneli" o "longa", o "campanéna", che andava a toccare il giogo solo quando i buoi dovevano fermarsi o nelle discese, onde evitare che il carro scorresse in avanti e colpisse i buoi ai garretti. Se il veicolo era molto pesante, si prendeva una misura prudenziale, legando le corna della coppia dei buoi all'estremità anteriore del timone: questa legatura era dominata "piadura". I buoi si guidavano anche con l'aiuto delle nasiere.

Bilancia



Bilancia, scala 1:5. Era usata pe rpesare i bozzoli da seta.


Baròz (di pianura)





Carro agricolo a due ruote, con timone singolo, trainato da una o più coppie di buoi, usato per trasportare, grazie alla massiccia struttura, anche carichi assai pesanti.


Il veicolo è interamente decorato, il che fa supporre che fosse usato prevalentemente in caso di feste e fiere. Domina il colore verde, su cui spiccano motivi floreali, mentre le ruote sono di colore rosso. Risale alla metà del secolo XIX. Venne usato sino alla metà del secolo XX.


venerdì 11 dicembre 2009

Baròza a scanoc (biroccia a scanno)





Carro a due ruote con timone a due stanghe. Trainato da uno o più cavalli, era usato per il trasporto dal fiume di sabbia e ghiaia, il cui scarico era agevolato dal cassone ribaltabile. E' dipinto di blu nel sottocassone e nelle stanche in rosso nel cassone e nelle ruote. Proviene dal Ronco, frazione di Forlì. Risale alla seconda metà del secolo XIX. Venne utilizzato sino alla metà del secolo XX.