I rapporti tra la famiglia Picci e il fascismo non furono privi di qualche malinteso.
Ne parla Sergio Picci, ricordando la vicenda del prozio Carlo Roncucci, che attorno al 1923 fu ucciso (insieme a Giovanni Artusi) in una sparatoria. Riuscirono a ferire lo squadrista Anselmo Melandri, che in seguito morì. In famiglia non si parlava di politica, e a Sergio queste storie furono raccontate dopo l'8 settembre.
Il 10 giugno del 1940 Sergio si trovava sulla rocca di Forlimpopoli e vedeva dall'alto la piazza piena di gente plaudente: l'Italia entrava in guerra. Applaudì anche lui, e afferma che sua madre gli diede "una vigliacca di quelle sberle che me la ricorderò sempre".
Si torna alla sparatoria del '23. Quando uccisero suo zio Carlo, il padre di Sergio, Luigi detto Gibi, stava svolgendo il servizio militare in Cavalleria. La nonna di Sergio gli comunicò per lettera che lo zio "era stato ucciso da piombo nemico". La lettera fu requisita e Gibi finì in carcere. Si racconta anche che Anselmo Melandri, ferito da Carlo Roncucci, fu poi finito dal fratello di Carlo: un affare di famiglia.
Nell'estate del 1941 a Sergio non era stato permesso di andare al campeggio dei balilla. Ma lui insistette sino allo sfinimento di suo padre, che infine intercedette con il Federale, il Maestro Bazzoli, col quale malgrado le divergenze politiche aveva un buon rapporto. A campeggio già in corso, Bazzoli vi portò Sergio con la sua Guzzi. Nei due anni successivi, la famiglia permise a Sergio di partecipare ai campeggi estivi come tutti gli altri Balilla.
Sino all'ultimo, a Terra del Sole, che fu interrotto all'indomani del 25 luglio 1943. Alla chetichella portarono i ragazzi a casa, passando per la piazza di Forlì, dove parlava Cino Macrelli.
Del comizio di cui Sergio fu casuale testimone si trova traccia nella voce che il Dizionario Biografico degli Italiani (Volume 67 - 2007) Treccani dedica a Cino Macrelli, laddove riporta che "già il 26 luglio tenne discorsi durante le manifestazioni popolari".
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